Letizia Battaglia, fotografa palermitana, ha utilizzato i suoi scatti per documentare una delle fasi più sanguinose della Storia italiana contemporanea. Attraverso il suo obiettivo, ha dato visibilità agli emarginati, alle vittime della mafia e ha denunciato la corruzione in Sicilia. Il documentario “Il mio nome è Battaglia“, diretto da Cécile Allegra, esplora la vita di questa artista, presentato in anteprima al Prix Italia a Torino, fondendo le sue immagini con le testimonianze di chi l’ha conosciuta.
La vita di Letizia Battaglia è caratterizzata da una continua ricerca della libertà e della giustizia, elementi che attirano l’attenzione del pubblico e degli studiosi di fotografia. Nata e cresciuta in una Sicilia segnata da una forte cultura patriarcale, sposa a soli sedici anni, si ritrova costretta nei tradizionali ruoli di donna e madre. Tuttavia, la sua vita segna una svolta con una profonda crisi personale che la porta a esplorare la psicoanalisi, culminando nel divorzio e nella decisione di trasferirsi a Milano. Qui, intraprende la carriera di fotogiornalista, documentando eventi di grande rilevanza sociale, come la rivolta dei movimenti studenteschi.
Nel 1974, Battaglia torna a Palermo richiamata dal giornale “l’Ora“, ma si trova faccia a faccia con la durezza della guerra di mafia. I clan mafiosi, tra cui i Corleonesi guidati da Toto Riina e Bernardo Provenzano, sono in lotta tra loro per il controllo del potere, e Letizia si fa portavoce di una realtà disperata. La sua macchina fotografica diventa un’arma contro l’indifferenza, catturando immagini che rivelano la brutalità della vita nei quartieri più colpiti dalla violenza e dalla povertà. Focalizzandosi non solo sulle vittime, le sue opere documentano anche la vita quotidiana dei sopravvissuti, sottolineando la resilienza delle donne e dei bambini.
Il suo engagement è accentuato dalla presenza perpetua sul campo, ferramenta necessaria in un contesto dominato da uomini. Battaglia riesce a superare i cordoni di sicurezza, avvicinandosi alle scene del crimine per documentare una verità spesso invisibile. La sua capacità di cogliere l’umanità dietro la violenza la rende una figura unica nel panorama del fotogiornalismo italiano.
Nel corso degli anni ’80, Battaglia si identifica come una testimone della lotta antimafia, seguendo da vicino il lavoro del Pool Antimafia, composto dai giudici Giovanni Falcone e Paolo Borsellino. Attraverso il suo obiettivo, immortala arresti e processi, commentando in modo viscerale l’ossessione della mafia per il potere e la follia che affliggeva il paese. Tuttavia, il suo impegno ha un prezzo: i giudici vengono assassinati uno dopo l’altro, mentre anche lei stessa subisce minacce di morte.
Nonostante il clima di terrore, Battaglia continua instancabilmente a documentare la sofferenza e la lotta per la giustizia. A partire dal 1987, sceglie di impegnarsi attivamente in politica, affiancando il sindaco di Palermo, Leoluca Orlando, nella lotta contro la corruzione. Il suo obiettivo è riqualificare i quartieri storici di Palermo, proponendo una rivitalizzazione contro le speculazioni immobiliari e la criminalità organizzata.
Letizia si avvicina agli strati più disagiati della società: le prostitute, i piccoli delinquenti e i bambini di strada, creando un ponte tra la sua arte e le ingiustizie sociali che l’attanagliano. La sua volontà di non rimanere un mero osservatore ma un attivista in prima linea la distingue nel panorama del fotogiornalismo e dell’impegno civile.
Dopo gli eventi traumatici che segnano la sua vita negli anni ’90, inclusa la morte di Falcone e Borsellino, Letizia Battaglia si trova a un crocevia. Decidere di non fotografare più scene di crimine diventa un atto di auto-protezione e di rinnovo. Con la chiusura della testata “l’Ora“, si ritira dall’attenzione mediatica per intraprendere un viaggio in Groenlandia, dove cerca di allontanarsi dai suoi “archivi di sangue” attraverso paesaggi mozzafiato e desolati.
Tornata a Palermo, Battaglia si dedica a un nuovo progetto, orientando il suo obiettivo verso bambini e donne. Queste ultime, che in prima linea affrontano le dure sfide della vita siciliana, diventano per lei simboli di speranza e di rinascita. Il suo progetto “Rielaborazioni” propone un’interpretazione poetica della vita, sovrapponendo le immagini delle sue memorie pesanti a corpi femminili nudi, rappresentazioni di un futuro possibile e riparato. Le sue opere, cariche di significato, sfidano e invitano lo spettatore a riflettere su una Sicilia che, pur nella sua sofferenza, nutre un intenso desiderio di libertà e giustizia.
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